Think deeply about things.
Don't just go along because that's the way things are or that's what your friends say.
Consider the effects, consider the alternatives, but most importantly, just think.
– A. S.
«La #NHRebellion Walk partirà nel giorno del primo anniversario dalla scomparsa di Aaron Swartz — uno dei più convinti attivisti anti-corruzione della sua generazione — e si concluderà nel giorno in cui è nata Granny D, attraversando lo Stato del New Hampshire per conquistare il maggior numero di cittadini possibile alla sua causa.
E poi chiederemo a ciascuno di loro di porre ai prossimi candidati alla Presidenza Usa del 2016 una semplice domanda: Come pensa di porre fine a questa corruzione?».
Così l'annuncio a fine 2013 per l'iniziativa lanciata dal Prof. Lawrence Lessig: una marcia collettiva di 185 miglia (quasi 300 kilometri) attraverso lo Stato del New Hampshire per riportare all'attenzione pubblica l'irrisolto problema della corruzione a livello istituzionale. Il relativo wiki va raccogliendo informazioni di ogni tipo per prepararsi adeguatamente alla camminata, che muoverà sabato 11 gennaio 2014, primo anniversario della morte di Aaron Swartz, e si concluderà il 24 gennaio, anniversario della nascita di Doris Haddock, meglio nota come Granny D, scomparsa nel marzo 2010 a 100 anni.
L'evento vuole emulare proprio la lunga marcia di quest'ultima, quando il primo gennaio 1999, all'età di 88 anni, si mise in cammino per circa 3.200 miglia (oltre 5.100 km), da Los Angeles a Washington, D.C., dove giunse il 29 febbraio 2000, con un semplice cartello appeso al collo: Campaign Finance Reform (riforma dei finanziamenti per la campagna presidenziale). L'accostamento tra questi due attivisti (e le date prescelte) rivelano l'urgenza e la centralità della battaglia anti-corruzione nell'odierno contesto politico Usa, come chiariscono i promotori dell'iniziativa: «Grazie a Granny D e ad Aaron Swartz, tutti noi abbiamo capito una cosa: la riforma sarà possibile soltanto quando i candidati si renderanno conto che la loro vittoria dipende dalla risposta giusta che sapranno dare».
D'altronde questa battaglia non è altro che uno dei tanti tasselli del puzzle democratico dell'era contemporanea, quel percorso per l'affermazione della giustizia e dell'uguaglianza sociale che animava ogni pensiero e ogni azione di Aaron. Il quale, vale la pena di ribadirlo, non era (o non era soltanto) un hacker, né un computer geek, nel senso stretto del termine, quanto piuttosto un attivista sociale intenzionato a dare tutto se stesso nell'impegno costante per quel che riteneva giusto. In perfetta sintonia con la tradizione statunitense delle lotte a sostegno dei diritti civili nell'era moderna, calcando le orme di figure come Martin Luther King Jr., Rosa Parks oppure Granny D, appunto.
Portando avanti quest'impegno in prima persona e fino in fondo, applicando precise quanto dovute azioni di disobbedienza civile e comunque all'interno di un movimento sociale più ampio. Con l'aggiunta obbligata, nel caso di Aaron, del ricorso alla tecnologia e agli strumenti di Internet dei nostri giorni – dandosi continuamente da fare per crearne di nuovi e più adatti ad ampliare la partecipazione e rendere sempre più efficace l'azione dei cittadini.
È proprio il filo rosso dell'impegno sociale a tutto tondo e senza frontiere che ci premeva sottolineare nel mettere insieme questo e-book a un anno dalla scomparsa di Aaron. Innanzitutto, un piccolo e attento contributo per ringraziarlo e celebrarne la vita, oltre che tassello di una memoria storica da tenere viva e presente. Ma anche uno strumento, speriamo utile, per provare a spingerne ulteriormente il messaggio nell'ambito italiano, a volte fin troppo relegato alla "periferia" dell'attivismo digitale globale. Con la consapevolezza di volerne portare avanti le battaglie in maniera collettiva, pur nel nostro piccolo.
Realizzato in maniera collaborativa con gli annessi rilanci online, l'e-book si apre con le traduzioni di alcuni suoi post e interventi sul web a partire dal 2006, a sottolineare l'eclettismo e la vastità d'interessi, la puntigliosità e finanche l'autocritica impietosa di Aaron. La seconda parte presenta invece una serie di testimonianze e ricordi da parte di chi ha condiviso con lui progetti e battaglie, sia come articoli online che direttamente in alcuni eventi pubblici svoltisi in Usa dopo la sua morte. L'ultima sezione è dedicata a materiali di base su open access e cultura libera, temi al centro del lavoro di Aaron e altresì collante di un impegno sociale che interessa da vicino tutti noi e soprattutto il futuro della conoscenza condivisa. Non manca, in chiusura, un'ampia raccolta di link e risorse web per approfondire i vari aspetti della questione, a seconda degli interessi individuali – tutt'altro che esaustiva e soggetta ad essere ampliata e aggiornata da chiunque vorrà coinvolgersi.
Un tributo e un ricordo, quindi, mirato a riconoscere e celebrare il genio e il cuore di un grandissimo intellettuale e attivista del nostro secolo – quello che, speriamo, sarà un futuro modello per le generazioni future di nativi digitali in ogni parte del pianeta.
La giustizia (la difficoltà di “fare la cosa giusta”, il labirinto dei “dipende”, l'impossiblità di una giustizia totale)) è stata la grande ossessione di Aaron, ed è beffardo rendersi conto che è stato proprio un sistema di giustizia (un'istituzione, forse avrebbe detto lui) a costringerlo al suicidio. Un dato di fatto su cui c'è poco da controbattere, come hanno confermato una molteplicità di fonti e come documentano le testimonianze raccolte qui di seguito.
Pur se la vicenda del “furto di documenti” resta a tutt'oggi poco chiara, se non controversa, così come ambigua e controversa rimane la posizione da Ponzio Pilato assunta dai dirigenti del MIT nell'intera fase del procedimento giudiziario e ribadita dal rapporto-inchiesta stilato dal Prof. Hal Abelson lo scorso luglio. Una "neutralità" che Bob Swartz, il padre di Aaron, non esita invece a definire "un abdicare" nei confronti del figlio, una sorta di "complicità con l'indagine penale". Come si legge una lunga analisi a freddo pubblicata dal Boston Magazine a inizio 2014, e caldamente consigliata: «Con il suo silenzio, l'amministrazione del MIT ha tradito la propria missione».
In definitiva, insiste Lessig, la morte di Aaron è colpa di un sistema che ha fallito, di una giustizia che si trasforma in persecuzione. Non a caso lo stesso Aaron confidava al padre, negli ultimi giorni, di sentirsi come il protagonista del Processo di Franz Kafka (Josef K., che alla fine viene ammazzato). La sua storia è allo stesso tempo emblematica e straordinaria, e c'è un dubbio che, fra gli altri, emerge con forza: cosa possiamo fare, se anche i migliori fra noi rimangono schiacciati? Qual è la speranza?
L'unica speranza possibile, ricorda ancora Lessig nel discorso più bello e commovente che abbia mai tenuto, è la speranza dell'amore, che per definizione non guarda alle probabilità di successo o meno, bensì procede in avanti all'infinito. Se amiamo questo nostro mondo, nonostante tutto, ha senso provare a migliorarlo. Ogni sistema umano è un'istituzione, e le istituzioni sono convenzioni, e le convenzioni si cambiano. Anche se è dura vedere i più brillanti tra noi dover soccombere anche per farci rammentare il livello della posta in gioco.
Aaron Swartz non era un santo né un martire, ma un ragazzo, una persona come tante altre eppure diverso da tutti: aveva un inesorabile fuoco che gli ardeva dentro, e che ancor'oggi continua a bruciare. Ora tocca a noi tenerlo vivo e propagarlo.
Grazie, Aaron, di tutto.
Bernardo Parrella e Andrea Zanni, gennaio 2014