Intervento preparato per la conferenza informatica Tathva 2007 presso il NIT di Calcutta (qui ulteriori dettagli). Post originale: How to get a job like mine, dalla pagina di Aaron su jottit.com, 27/09/2006. Traduzione di Marco Caresia.
Lo scrittore statunitense Kurt Vonnegut era solito intitolare i suoi interventi pubblici “Come fare a trovare un lavoro come il mio” per poi parlare di quello che voleva. Io mi trovo un po' nella situazione opposta. Mi è stato detto che avrei potuto parlare di quello che preferivo e ho deciso che, invece di pontificare sul futuro di Internet o sul potere della collaborazione di massa, il tema più interessante che avrei potuto affrontare è probabilmente proprio “Come fare a trovare un lavoro come il mio”.
E allora, in che modo sono arrivato a un'occupazione simile? Indubbiamente, il primo passo è dotarsi dei geni giusti: sono nato bianco, di sesso maschile, statunitense. La mia famiglia era benestante e mio padre era già coinvolto nell'industria informatica. Sfortunatamente, non conosco nessun modo per poter scegliere queste cose, quindi non è di grande aiuto.
D'altra parte, però, quando ho iniziato non ero che un ragazzino bloccato in un paesino nel bel mezzo degli Stati Uniti. Quindi ho dovuto inventarmi qualche trucchetto per venirne fuori. Nella speranza di rendere la vita meno ingiusta, ho pensato di condividerli con voi.
La prima cosa che ho fatto (e che probabilmente avete fatto anche tutti voi) è stata imparare il più possibile sui computer, su Internet e sulla cultura di Internet. Ho letto un sacco di libri, enormi quantità di pagine web e provato varie storie. Per prima cosa mi sono iscritto a diverse mailing list, impegnandomi a seguirne le discussioni fintanto che non mi sono sentito in grado di intervenire e iniziare a parteciparvi. Poi ho studiato qualche sito web e provato a costruirne uno da solo. E alla fine ho imparato a sviluppare applicazioni web e mi sono messo a crearle. Avevo tredici anni.
Il primo sito che ho creato si chiamava get.info. L'idea era quella di un'enciclopedia online gratuita che chiunque potesse modificare, oppure aggiungere contenuti o riorganizzarli, semplicemente tramite il browser. Ho sviluppato tutto, aggiunto una miriade di funzionalità fantastiche, sperimentato su ogni tipo di browser e il risultato finale mi è piaciuto molto. Ho anche vinto un premio per la miglior nuova applicazione web dell'anno. Sfortunatamente, le sole persone che conoscevo a quel tempo erano i miei compagni di scuola, perciò non avevo nessuno che potesse scrivere articoli di taglio enciclopedico. (Per fortuna, qualche anno dopo, mia madre mi fece vedere questo nuovo sito chiamato Wikipedia che operava in modo analogo.)
Il secondo sito che ho creato era my.info. Invece di doversi barcamenare su Internet per trovare notizie da tutti i diversi tipi di pagine web, l'idea era quella di avere un programma capace di raccogliere le novità da tutte quelle pagine e indicizzarle in un unico posto. Lo sviluppai e lo feci funzionare, ma venne fuori che, in quel momento, non ero stato l'unico ad avere quell'idea – tanti altri stavano lavorando a questa nuova tecnica, successivamente chiamata syndication. Un gruppo di loro si divise e decise di lavorare ad una specifica syndacation nota come RSS 1.0:mi coinvolsi anch'io.
Era estate, avevo finito la scuola e non avevo un lavoro, quindi non mi mancava di certo il tempo libero. Così lo spesi tutto nella lettura ossessiva della mailing list relativa a RSS 1.0, e contribuendo con ogni tipo di strano lavoretto o qualsiasi altra cosa ci fosse bisogno di fare. In breve, mi chiesero se volevo entrare formalmente nel gruppo di lavoro e alla fine diventai co-autore e successivamente co-gestore della specifica RSS 1.0 (che sta per RDF Site Summary o Really Simple Syndication).
Lo sviluppo di quest'ultima era basato su una tecnologia chiamata RDF (Resource Description Framework), che era stata la causa di accesi dibattiti nelle relative mailing list, così iniziai a studiarla meglio, partecipando alle discussioni, leggendo testi vari e ponendo stupide domande e, piano piano, riuscii a farmi un'idea del tutto. Presto acquistai una certa notorietà nel mondo di RDF e quando venne annunciato un nuovo gruppo di lavoro per lo sviluppo delle prossime specifiche decisi di partecipare.
Per prima cosa chiesi ai membri del gruppo di lavoro se potevo aderire. Risposero subito di no. Ma io volevo entrarci ad ogni costo, e così cercai un altro modo. Lessi il regolamento del W3C (World Wide Web Consortium), l'organismo di standardizzazione che gestiva il gruppo di lavoro. Veniva specificato che, pur se il gruppo poteva rifiutare qualsiasi richiesta di adesione da parte di un individuo, non potevano rifiutare tale richiesta qualora venisse proposta da un'organizzazione membro ufficiale del W3C. Così diedi un'occhiata all'elenco di queste organizzazioni, ne trovai una che sembrava disponibile e chiesi loro di inserirmi nel gruppo di lavoro. E così fecero.
Partecipare al gruppo di lavoro comportava telefonate settimanali con gli altri membri, un sacco di discussioni sulla mailing list e su IRC, a volte persino prendere un aereo per città a caso per incontrarsi e conoscere un sacco di gente in gamba.
Ero davvero convinto dell'utilità di RDF, perciò mi impegnai seriamente per convincere altri ad adottarlo. Quando seppi che il professor Lawrence Lessig stava lanciando un nuovo progetto chiamato Creative Commons, gli scrissi una mail dicendo che avrebbe dovuto utilizzare RDF per il suo progetto e gli spiegai il perché. Qualche giorno dopo mi rispose: «Buona idea. Perché non lo fai tu per noi?».
Fu così che entrai nel mondo di Creative Commons, e da lì presi a frequentare conferenze, feste e incontri, arrivando a conoscere un sacco di persone. Grazie a tutta questa frenetica attività, la gente iniziava a sapere chi fossi. Cominciavo ad avere amici in luoghi e ambiti diversi.
Poi decisi di mollare tutto e andare al college per un anno. Frequentai la Stanford University, un istituto idilliaco in California dove splende sempre il sole e l'erba è sempre verde e i ragazzi sono sempre fuori ad abbronzarsi. Ho avuto alcuni docenti importanti e sicuramente ho imparato parecchio, ma non ho trovato un'atmosfera molto “intellettuale”, dato che la maggior parte degli altri ragazzi non sembrava prendere molto seriamente gli studi.
Verso fine anno ricevetti però una email da uno scrittore, Paul Graham, che mi annunciava l'avvio di un nuovo progetto, Y Combinator. L'idea di fondo era quella di mettere insieme un gruppo di sviluppatori in gamba, portarli a Boston per un'estate e dare loro un po' di soldi e la documentazione necessaria per fondare una start-up. Bisognava lavorare duro per costruire qualche cosa mentre si doveva imparare tutto quello che c'è da sapere sul business, e procurarsi agganci con investitori e potenziali acquirenti. Paul mi suggerì di candidarmi.
Così feci, e dopo molto impegno, fatica e sforzi mi ritrovai a lavorare su questo piccolo sito chiamato Reddit.com. La prima cosa che c'è da sapere su Reddit è che non avevamo la minima idea di quello che stavamo facendo. Non sapevamo nulla di imprese e start-ups. Non avevamo un'esperienza concreta nello sviluppo di software professionale. E neppure sapevamo se o perché quello che stavamo facendo funzionasse o meno. Ogni mattina ci svegliavamo e andavamo a controllare che il server non fosse giù, che il sito non fosse stato deturpato dagli spammer e che gli utenti non ci avessero abbandonato.
Quando iniziai con Reddit, la crescita fu piuttosto lenta. Il sito fu lanciato molto presto (nel giro di poche settimane dall'inizio del progetto) ma durante i primi tre mesi difficilmente superava i tremila visitatori al giorno, che è all'incirca la quota per cui diventa utile ricorrere a un feed_RSS. Dopo un paio di settimane dedicate a maratone di sviluppo, spostammo il sito da LISP a Python, e ne parlai sul mio blog. Ottenni una discreta attenzione (inclusi tuoni e fulmini dei fan del povero disprezzato LISP) e ancora oggi mi capita d'incontrare qualcuno che, quando accenno al fatto di aver lavorato con Reddit, risponde: «Ah, il sito migrato da LISP...».
Fu in quel periodo che il traffico iniziò a decollare davvero. Nei tre mesi successivi raddoppiò per ben due volte. Ogni mattina correvamo a controllare i grafici delle statistiche per vedere come stavamo andando – se una certa nuova funzionalità ci portava più visitatori, se il passaparola aiutava la diffusione del sito, se gli utenti non ci avevano già abbandonato. I numeri aumentavano giorno dopo giorno – avevamo l'impressione che crescessero più velocemente ogni volta che ci prendevamo una pausa dal mettere mano al sito.
Non avevamo però la più pallida idea su come farci dei soldi. Iniziammo a vendere magliette sul sito, ma appena facevamo un po' di soldi, li spendevamo ordinando altre magliette. Firmammo un contratto con il rappresentante di un'importante azienda di annunci web per vendere spazi pubblicitari, ma loro non furono mai veramente capaci di trovare annunci da metterci e non ci abbiamo fatto, letteralmente, più di un paio di dollari al mese. Un'altra idea fu quella di rivendere a terzi la licenza della tecnologia di Reddit, consentendo ad altri di creare siti che funzionassero come noi. Ma non riuscimmo a trovare nessuno interessato a una simile licenza.
In breve, Reddit raggiunse milioni di utenti al mese, cifra che sorpassava alla grande la media dei giornali americani. Lo so perché allora parlavo con diversi editori di quotidiani. Tutti ci chiedevano di applicare la magia di Reddit al loro caso. Inizialmente dicevamo di sì a tutto quello che suggerivano. E, per nostra fortuna, funzionò, poiché riuscivamo a sviluppare applicazioni in maniera più veloce dei contratti ufficiali che ci sottoponevano.
Inoltre, i siti di notizie online iniziarono a notare che Reddit poteva generare un sacco di traffico verso di loro. In qualche modo pensarono di incoraggiare questa tendenza aggiungendo ai loro articoli un link del tipo “pubblicalo su Reddit”. Per quanto ne so, l'aggiunta di tali link non ne incrementava concretamente la popolarità su Reddit (pur rendendo più brutti i loro siti), però ci portavano parecchia pubblicità gratuita.
Quasi subito le trattative di partnership si trasformarono in trattative di acquisizione. Acquisizione: quello che avevamo sempre sognato! Non avremmo più dovuto preoccuparci di fare soldi. Se ne sarebbe occupata qualche altra azienda e in cambio saremmo diventati tutti ricchi. Mollammo tutto per avviare le trattative con i potenziali acquirenti. E il sito rimase fermo.
I negoziati andarono avanti per mesi. Preparammo piani e fogli di calcolo e andammo nelle varie sedi a fare presentazioni e incontri, e telefonate senza fine. Poi loro rifiutarono la cifra che volevamo e noi ce ne andammo. Dopo un po' cambiarono antifona e alla fine ci stringemmo la mano e concordammo la vendita – solo per iniziare a trattare su altri punti chiave, solo per abbandonare di nuovo le trattative. Dovemmo andarcene tre o quattro volte prima di giungere a un contratto su cui eravamo d'accordo. Intanto il lavoro vero si era fermato per sei mesi.
Stavo per dare di matto con tutto quel pensare ai soldi. Diventammo tutti molto suscettibili per via dello stress e della mancanza di produttività. Iniziammo a inveire l'uno contro l'altro e poi a non parlarci più, e poi a lavorare nuovamente insieme con rinnovato slancio solo per ricominciare poi ad urlarci di nuovo contro. L'azienda fu sul punto di sciogliersi poco prima di concludere l'affare.
Ma alla fine andammo nell'ufficio dell'avvocato per firmare tutti i documenti e il giorno dopo i soldi erano sui nostri conti in banca. Era fatta.
Ci trasferimmo tutti a San Francisco e iniziammo a lavorare negli uffici di Wired News (l'acquirente era Condé Nast, gruppo editoriale proprietario di Wired e diverse altre testate.)
Ero davvero infelice. Non sopportavo San Francisco. Odiavo la vita d’ufficio. Non sopportavo Wired. Presi una lunga vacanza natalizia. Mi ammalai. Pensai al suicidio. Scappavo alla sola vista dei poliziotti. E quando tornai il lunedì mattina, mi fu chiesto di rassegnare le dimissioni.
I primi due giorni senza lavoro furono strani. Ciondolavo per casa, approfittavo del sole di San Francisco e leggevo dei libri. Ma presto sentii nuovamente il bisogno di avviare qualche progetto, e iniziai a scrivere un libro. Volevo raccogliere insieme tutti gli studi interessanti che avevo trovato nel campo della psicologia e raccontarli, non come risultati di taglio accademico, ma come storie di persone. Ogni giorno andavo a Stanford per fare ricerche nella biblioteca (Stanford è un'ottima università per chi vuole studiare psicologia.)
Ma un giorno ricevetti la telefonata da Brewster Kahle, il fondatore dell'Internet Archive, stupenda iniziativa mirata a digitalizzare tutto il possibile per poi renderlo disponibile sul web. Disse che aveva intenzione di avviare un progetto di cui avevamo parlato in passato. L'idea era quella di raccogliere le informazioni di tutti i libri al mondo in un unico spazio – una wiki gratuita di informazioni bibliografiche. Mi misi subito al lavoro e nei due mesi successivi iniziai a contattare biblioteche, coinvolgere sviluppatori, collaborare con un grafico e a fare ogni tipo di cose strane per mettere il sito online. Il progetto diventò Open Library e una demo si trova ora all'indirizzo demo.openlibrary.org – in gran parte realizzato da uno sviluppatore indiano di grande talento: Anand Chitipothu.
Un altro amico, Seth Roberts, suggerì di provare a trovare un modo per riformare il sistema dell'istruzione superiore. Non ci siamo messi d'accordo su una buona soluzione, ma l'abbiamo fatto per un'altra buona idea: una wiki per spiegare agli studenti come trovare un lavoro. Questo progetto dovrebbe partire al più presto.
Poi un altro vecchio amico, Simon Carstensen, mi disse via email che stava per laurearsi e voleva avviare una nuova azienda insieme a me. Be', all'epoca tenevo un elenco di attività imprenditoriali potenzialmente di successo e così scelsi la prima dalla lista. L'idea era questa: rendere la costruzione di un sito web semplice come compilare un breve testo. Nel giro di pochi mesi lavorammo un sacco per rendere le cose sempre più semplici (ma anche un po' più complesse). Il risultato, lanciato un paio di settimane fa, è Jottit.com.
Mi sono anche assunto l'impegno di fare il mentore per due progetti nell'ambito della Google Summer of Code, entrambi estremamente ambiziosi che, con un po' di fortuna, dovrebbero partire a breve.
Ho perfino deciso di dedicarmi al giornalismo. Il mio primo articolo su carta stampata è stato pubblicato la settimana scorsa. Ho poi aperto un paio di blog sulla scienza e ho iniziato a lavorare a un mio articolo accademico. Si basa su uno studio che feci tempo fa su chi, di fatto, scrive le voci di Wikipedia. Qualcuno, tra cui Jimmy Wales, che è tipo il portavoce pubblico del progetto, sostiene che dopo tutto Wikipedia non è poi una grande iniziativa distribuita, dato che a curarne le voci sono principalmente circa 500 persone, molte delle quali conosce personalmente.
Ha fatto svolgere delle ricerche piuttosto basilari a supporto di questa tesi, ma io ho guardato i numeri con più attenzione e ho scoperto l'opposto: la maggior parte di Wikipedia è stata creata da nuovi curatori, la maggior parte dei quali non si è neppure preoccupata di creare un account e registrarsi su Wikipedia, e non ha fatto altro che aggiungere qualche frase qua e là. Come mai Wales ha preso un abbaglio così evidente? Perché si è focalizzato sulla quantità di modifiche apportate dagli utenti, senza però guardare alla dimensione di tali interventi. È venuto fuori che c'è un gruppo di 500 utenti che fa un numero enorme di modifiche a Wikipedia, ma il totale delle loro revisioni è assai ridotto: fanno cose come correggere refusi e cambiare la formattazione. Sembra molto più ragionevole credere che 500 persone vadano in giro a fare modifiche a un'enciclopedia piuttosto che averne scritto tutte le voci di sana pianta.
Qual è allora il segreto? Come posso condensare le cose che faccio in piccole e brevi frasi che mi facciano fare un'ottima figura? Eccole qui:
Queste sono le linee-guida che ho seguito. E oggi eccomi qui, con una dozzina di progetti in ballo e un livello di stress che ancora una volta arriva al soffitto.
Ogni mattina mi sveglio e controllo la posta per vedere quale dei miei progetti sia fallito, quali scadenze ho lasciato passare, quali sono le cose da scrivere e gli articoli da revisionare.
Forse, un giorno, sarete nella mia stessa situazione. Se così sarà, spero oggi di avervi dato una mano.