La vita nel mondo dell'immoralità diffusa: l'etica dell'esser vivo

Post originale: Life in a World of Pervasive Immorality: The Ethics of Being Alive, dal blog Raw Thought, 02/08/2009. Traduzione di Silvia Franchini.

Pensavo di essere una brava persona. Di certo non avevo mai ucciso nessuno, per esempio. Poi però Peter Singer mi ha spiegato che gli animali hanno una coscienza e per cibarsene dobbiamo ucciderli, fatto moralmente non troppo diverso dal far fuori qualcuno. Così decisi di diventare vegetariano.

Di nuovo, mi consideravo una brava persona. Ma poi Arianna Huffington mi disse che guidando un automobile disperdevo fumi tossici nell'aria e finanziavo dittatori stranieri. Così sono passato alla bicicletta.

Ma poi ho scoperto che il sellino era stato cucito in fabbriche che sfruttano la manodopera dei bambini, mentre il telaio era fatto con metalli estratti devastando la terra. A ben vedere, ogni volta che compro qualcosa è probabile che, in un modo o nell'altro, quel denaro finisca per opprimere qualcuno o per distruggere il pianeta. E se capita che guadagni dei soldi, una parte va al governo che se ne serve per far saltare in aria la gente in Afghanistan o in Iraq.

Pensai così di poter vivere solo con quanto si trova nei cassonetti della spazzatura, come fa qualche mio amico. In tal modo non sarei stato responsabile di favorirne la produzione. Ma poi ho capito che c'è chi non esita a comprare quel che non trova nei cassonetti e se avessi preso qualcosa prima di altri, questi poi sarebbero comunque andati a comprarsela.

La soluzione dunque sembrava evidente: dovevo abbandonare le comodità moderne per andare a vivere in una caverna, nutrendomi di semi e bacche. Probabilmente avrei emesso un po' di CO2 e utilizzato ancora i frutti della terra, ma forse solo a livelli sostenibili.

Forse non siete d'accordo sul fatto che sia moralmente sbagliato uccidere gli animali o far saltare in aria la gente in Afghanistan. Ma sicuramente si può pensare che possa essere sbagliato, o almeno che qualcuno possa ritenerlo tale. E credo sia altrettanto chiaro che mangiare un hamburger o pagare le tasse contribuisce a queste cose – pur se in misura ridotta, o magari solo potenzialmente.

Anche se non vi sembra così, la vita quotidiana offre un milione di modi più diretti. Personalmente, penso che sia sbagliato sedermi al tavolo di un locale per abbuffarmi allegramente mentre qualcuno trasporta ancora cibo e qualcun altro lavora come uno schiavo in cucina. Ogni volta che ordino qualcosa da mangiare contribuisco a questa catena di trasporti e schiavitù. Forse costoro ne ricevono denaro in cambio, ma probabilmente preferirebbero riceverlo direttamente da me.

Ancora, forse penserete che non c'è nulla di male, ma spero vogliate almeno ammetterne la possibilità. E naturalmente è colpa mia.

Laggiù nella grotta, pensavo di essere in salvo. Ma poi ho letto l'ultimo libro di Peter Singer. Il quale fa notare che bastano appena 25 centesimi [di dollaro] per salvare la vita di un bambino (per esempio, con 27 centesimi si possono acquistare i sali per la reidratazione orale che salvano un bambino dalla diarrea mortale). Ma forse stavo comunque uccidendo qualcuno.

Per i motivi esposti sopra, non avevo giustificazioni morali per far soldi (anche se potrebbe valere la pena di versare un contributo per bombardare i bambini in Afghanistan onde aiutare a salvare bambini in Mozambico). Però anziché vivere in una caverna potevo fare volontariato in Africa.

Ovviamente, se scegliessi quest'opzione, ci sarebbero migliaia di altre cose che non potrei fare. Come posso decidere quale mia azione salverà più vite? Anche se prendessi tempo per calcolarlo, sarebbe tempo speso per me stesso piuttosto che per salvare delle vite.

Mi sembra impossibile essere nel giusto. Non solo ogni cosa che faccio sembra causare gravi danni, ma lo stesso vale anche per quel che non faccio. La ragione comune dà per scontato che la moralità sia difficile ma comunque realizzabile: non mentire, non ingannare, non rubare. Sembra comunque impossibile condurre una vita moralmente corretta.

Se però l'eticità perfetta è irraggiungibile, sicuramente devo comportarmi come meglio posso. Dopo tutto, il dovere implica potere. Peter Singer è un buon utilitarista, quindi forse dovrei cercare di massimizzare il bene che faccio per il mondo. Ma anche questo sembra uno standard incredibilmente oneroso. Dovrei fare a meno di mangiare non solo carne bensì tutti i prodotti di origine animale. Dovrei non solo smettere di comprare cibo industriale ma di fare acquisti del tutto. Dovrei prendere dai cassonetti solo quel che è improbabile serva ad altri. E quindi dovrei vivere in un posto dove non disturbo nessuno.

Naturalmente tutte queste preoccupazioni e questo stress m'impediscono di fare del bene nel mondo. Riesco a malapena a fare un passo senza pensare a chi possa nuocere. Così decido di non preoccuparmi per il male che potrei arrecare per concentrarmi soltanto sul fare del bene – al diavolo le regole.

Ma ciò non vale solo per le regole ispirate da Peter Singer. Aspettare in coda alla cassa mi tiene lontano dal mio lavoro di salva-vite (e pagare mi sottrarrà dei soldi salva-vite) – allora è meglio rubare. Mentire, imbrogliare, ogni crimine può essere giustificato allo stesso modo.

Sembra un paradosso: nel mio impegno per fare del bene ho giustificato il fare ogni sorta di male. Nessuno mi ha posto domande quando sono andato a mangiar fuori e ho ordinato una succosa bistecca, ma quando ho rubato una bibita gassata tutti hanno sussultato. Esiste forse un senso nel seguire le leggi correnti o queste non sono altro che un ulteriore esempio dell'immoralità dilagante del mondo? C'è mica qualche filosofo che ha analizzato simili questioni?