Contro Steve Jobs

Excerpts from Evgeny Morozov, Contro Steve Jobs, 2012, Codice.

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Da questo punto di vista la filosofia del design di Dieter Rams, il famoso designer dell’azienda di Kronberg, ha ispirato la consistenza tattile e l’immagine dei più recenti prodotti Apple più di qualsiasi altra cosa. Fin dal suo ingresso alla Braun nel 1955, Rams, che amava descrivere il suo approccio al design con l’espressione weniger, aber besser, “meno ma meglio”, iniziò a collaborare con la Scuola di Ulm, la quale voleva far rivivere lo spirito creativo del Bauhaus conciliandolo con la cibernetica e la teoria dei sistemi. Rams scrisse un celebre manifesto nel quale erano elencati gli obiettivi del buon design. I dieci principi del buon design incoraggiarono i designer emergenti ad essere innovativi, e a concepire oggetti che fossero utili ma rispettosi dell’ambiente, accurati ma semplici, non cervellotici ma durevoli, onesti ma non invadenti. Rams voleva che i suoi prodotti fossero come i maggiordomi inglesi: sempre presenti, ma invisibili e discreti.

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Il consumatore come rivoluzionario: un’idea geniale, non c’è che dire, ma anche e soprattutto una grandissima illusione.

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Le sue riflessioni sul modo in cui le grandi compagnie nascono, innovano e infine muoiono sono state influenzate da un libro di Clayton M. Christensen, Il dilemma dell’innovatore, la cui prima edizione americana risale al 1997. Clayton Christensen, teorico dell’innovazione dell’Harvard Business School, sostiene che molte aziende finiscono per essere vittime del loro stesso successo: infatti, quando scoprono un prodotto in grado di trasformare le loro attività commerciali in una miniera d’oro, vi restano incollate troppo a lungo. Nel frattempo diventano troppo lente e disattente, e finiscono per non veder arrivare ciò che potrebbe mettere fine ai loro affari. Per esempio, i produttori di macchine fotografiche sono stati troppo lenti nel capire appieno le conseguenze della fotografia digitale e dei cellulari; ai produttori di mappe è sfuggito l’avvento della tecnologia Gps; i motori di ricerca non sono stati capaci di cogliere l’importanza dei social network.

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Tuttavia, ciò mostra che Jobs aveva fatto suo il punto centrale che altri filosofi della tecnologia avevano tentato (senza riuscirvi) di trasmettere: vale a dire che la tecnologia porta in sé il seme di un comportamento morale. Jobs stesso non perse mai occasione di dire al mondo qual era il valore che i prodotti Apple avrebbero dovuto veicolare. Si trattava niente di meno che della liberazione: - liberazione dal numero limitato di canzoni sul proprio lettore mp3; - liberazione dal lavoro manuale; - liberazione dall’impossibilità di navigare su internet con il proprio cellulare.

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Il problema è un altro: il problema è che, mentre ha dimostrato di essere perfettamente in grado di riflettere sulla tecnologia e di sollevare tutte le domande importanti attinenti al suo impatto sulle nostre vite, Jobs si è sistematicamente rifiutato di fare altrettanto quando si trattava dei suoi prodotti. Avrebbe potuto essere un grande “filosofo della lavatrice”, ma non ha mai saputo offrire una seria riflessione critica sui valori veicolati dal Macintosh, dall’iPod o dall’iPad. Quando discuteva dei propri prodotti, Jobs preferiva tralasciare le riflessioni relative all’impatto sulle scelte dei consumatori, per concentrarsi sullo stile profetico del design ispirato al movimento Bauhaus.

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Eppure, come può dirvi un ambientalista, un attivista o semplicemente un ciclista impegnato, l’effetto di liberazione è solo uno degli aspetti dell’impatto che le automobili hanno sul nostro stile di vita, soprattutto in America. Dove mettiamo la congestione del traffico, l’inquinamento, lo spostamento verso zone suburbane, il declino del trasporto pubblico, la distruzione dello spazio pubblico per costruire nuove autostrade? L’automobile non ha avuto gli stessi effetti ovunque: per rendersene conto è sufficiente confrontare quanto sia facile e piacevole muoversi senza auto per le strade di Portland rispetto a quelle di Dallas. Per questo motivo i facili richiami al determinismo tecnologico, allo spirito dei tempi o alla consumata mitologia per cui l’automobile trasformerebbe e libererebbe la nostra cultura non spiegano molto. Alcune città e comunità si sono relazionate all’automobile con quel genere di sensibilità filosofica che Jobs ha applicato alla sua lavatrice; altre semplicemente non lo hanno fatto. Cosa ci insegna, dunque, tutto ciò sulla Apple? Qual è il suo impatto ecologico? E dovremmo averne paura? Sarebbe forte la tentazione di chiamare in causa la chiusura a valanga dei negozi di libri e di musica e di indicare la Apple – e insieme a lei Amazon, Google, Netflix e altri – come colpevole.

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Il punto non è che dovremmo restare per sempre fedeli alla forma e alla struttura che internet possiede oggi; il punto è che dovremmo pensare in modo diverso (tanto per prendere in prestito la formula preferita della Apple) e prestare attenzione alle conseguenze estetiche e civiche dell’economia delle applicazioni. Bisogna scegliere tra costruire una Portland virtuale e camminare come sonnambuli in una Dallas virtuale. Al contrario la Apple, durante tutto il periodo in cui Steve Jobs l’ha diretta, si è costantemente rifiutata di riconoscere che vi fosse qualcosa di importante per il web che rischiava di essere compromesso.

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Dovremmo ritenere la Ford responsabile per la totalità del suo impatto sulle nostre vite, o soltanto per quella parte che riguarda la liberazione e l’autonomia? Forse considerarla responsabile per l’inquinamento, la congestione del traffico e la scomparsa dello spazio pubblico sarebbe eccessivo; equivarrebbe a posizionare l’assicella troppo in alto. Tuttavia, il marchio Apple e l’elevata concezione che ha di sé sono basati sull’idea che non si tratti di un’azienda come le altre. In fin dei conti, la Apple ha sempre insistito sul think different, sul fatto che Cupertino non è amministrata da “persone in giacca e cravatta” attente esclusivamente al rendimento degli utili trimestrali. Per cui è stata la Apple stessa a posizionare l’assicella troppo in alto, e a tradire le aspettative.

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